Resa umiliante

Roberto Beccantini11 ottobre 2022

Ad Haifa, non lontano da dove nacque l’Unico che, forse, avrebbe potuto cambiare qualcosa (e qualcuno. Forse), è finita la Juventus già finita di un mai (ri)cominciato Allegri. Il Maccabi, squadra modesta, le ha inflitto un secco 2-0 che la esclude virtualmente dalla Champions (solo?) e da una dignità che avrebbe dovuto essere l’ultima stampella. I gol li ha realizzati Omer Atzili: di schiena e di sinistro. Quello dei tre pali allo Stadium. Quello che, senza Yom Kippur, chissà all’andata.

Dieci punti dal Napoli. Sul filo del filo in Europa. E siamo appena a metà ottobre. E’ il modo che irrita. Per carità, i cicli finiscono e ricominciano, il mondo è pieno di sorprese, di trappole, di calcoli sbagliati. Di cadute e di risurrezioni. Però c’è un limite. Né polvere da sparo né polvere di stelle (?), la Juventus. Polvere. Szczesny amletico, Di Maria che fa male o si fa male (flessori, otra vez), i reparti slabbrati e lontani, gli avversari avanzanti in livrea, mica in tuta: non ce n’era bisogno.

Non si tratta di infierire: si tratta di riferire. Sin dall’inizio, gente che si manda a quel paese. Nessuno crede più in Allegri e Allegri non crede più in niente, vista l’ennesima formazione-lotteria, con Cuadrado un po’ di qua e un po’ di là, Rugani al fianco di Bonucci, McKennie in un ruolo che troppo lo imprigiona, ammesso che ce ne sia uno che lo libera.

Senza gioco, senz’anima. Sono entrati Milik e Kostic, Locatelli e Kean, ricordo un’incornata di Vlahovic sventata da Cohen (già, c’era una volta Vlahovic), ma la cronaca di una serata è un pretesto, conta la storia di un periodo, «questo» periodo, dal ritorno del «feticista dei risultati», secondo la «Suddeutsche Zeitung», allo scempio di oggi, che poi era ieri e, temo, sarà domani.
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Provincia grande, Napoli solo

Roberto Beccantini9 ottobre 2022

Un romanzo fra il cuore di De Amicis e gli arrembaggi di Salgari. Udinese-Atalanta 2-2 è stata una serenata alla provincia che, già in passato, regalava tesori, visioni, personaggi, da Vendrame a Pablito. E’ difficile che una delle due possa diventare il «nostro» Leicester o ripetere l’impresa del Verona etichetta 1985. Molto difficile. Ma il Mondiale d’autunno è cesura strana, nuova, di complicata traduzione. Vedremo.

Nel frattempo godiamoci questi vascelli guerrieri, questi allenatori che portano idee, loro sì. L’antipatico Gasperini, l’umile Sottil. Vinceva 2-0, la Dea. Non più a «fantasia anteriore», come ai tempi del Papu e di Ilicic, ma bloccata su misura intorno al sinistro di Koopmeiners. Che le mancasse la dorsale difensiva Djimsiti-Palomino-Toloi, ce ne siamo accorti nella ripresa. Marca a uomo – in avanti, possibilmente – e in trasferta è più a suo agio che in casa. L’Udinese è più verticale e non meno inglese, con Pereyra e Deulofeu che le garantiscono estro. Deulofeu, scuola Barça, è da un po’ che, per dirla alla Boskov, vede autostrada dove gli altri solo sentieri.

Non hanno campioni, hanno fame. Una gran fame. Di gioco. Di vincere. E’ cambiata, l’ordalia, con i cambi. Gasp, alla 300a., ha smontato l’attacco: via Muriel, via Lookman. Dentro Hojlund e Malinovskyi. Ecco: Muriel. Il migliore. Assist a Lookman, copia dell’azione e delle rete che aveva stecchito la Fiorentina, più rigore procurato e trasformato. Non lo avrei tolto. Sottil, lui, ha ricavato più birra, e più ciccia, dagli innesti di Samardzic, Arslan e Success (al posto di un uggioso Beto).

Punizione di Deulofeu, zuccata di Perez su azione Deulofeu-Pereyra. Et voilà. Poi scaramucce bi-partisan fino alla fine. L’Udinese è squadra di rimonte (siamo alla quinta), l’Atalanta squadra che può sprecare un gruzzolo. Mai, però, l’anima.
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Pioli sta dando il meglio, Allegri l’ha dato

Roberto Beccantini8 ottobre 2022

Anche così, più mutilato della Juventus, vince il Milan. La sentenza, netta, la orienta un gol «sporco» di Tomori, in mischia, al crepuscolo del primo tempo. Sbagliano in due: Orsato, che sorvola sul contatto fra Theo e Cuadrado a monte dell’angolo-fiammifero; e poi Alex Sandro, che si appisola al momento del dunque. [In precedenza, l’arbitro aveva ritenuto «innocente» un mani-comio di Vlahovic].

Morale della (non) favola: lo scudetto è già un miraggio alla nona, come la scorsa stagione. Pioli sta dando il meglio di sé, Allegri l’ha dato. Sono dettagli non marginali. Il quarto d’ora con cui l’ex Tiranna prende di petto gli avversari, sfiorando il gol con Kostic (ciccatona), appartiene al repertorio della normalità europea e non dei catechismi aziendali. Milik fa da ponte tra Vlahovic e il centrocampo, dove Rabiot sembra il più vivo, ebbene sì. Bisognerebbe lavorare ai fianchi Gabbia e Tomori, proprio lui, ma piano piano Tonali prende campo e, a sinistra, la catena Theo-Leao comincia a girare. Due pali di Leao, di tacco e dal limite, e, in generale, un presidio del territorio, con Bennacer e Pobega, in linea con i fioretti. E le ambizioni.

Il giallo beccato al 25’ riduce l’hybris difensiva di Cuadrado, togliendo sicurezza anche a Danilo. Leao si accentra come il colombiano, il problema sono gli esiti. Non che i campioni pressino alla morte, ma di sicuro più di rivali che, esaurite le bollicine dell’aperitivo, non portano al tiro né serbi né polacchi. Alla ripresa, l’ordalia diventa un tamburello invasato e invasivo, ci si morde di qua e ci si graffia di là. E se Tatarusanu risponde solo a qualche telefonata, Szczesny si immolerà su Origi.
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